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UNA ROSA SULLA TARGA DI GIORGIO LATIS

Maggio 31, 2025

Il 30 maggio 2025 l’ANPI, in memoria di Giorgio Latis, ha deposto una rosa sulla targa a lui dedicata.

Sono passati due anni da quando il Moreschi ha “riammesso” gli studenti ebrei espulsi. L’ANPI Sezione Curiel, rappresentata dal Presidente Francesco Zerbo, ricorda il coraggio di Giorgio Latis.

Il discorso di Giuseppe D’Acquino…

Albert Einstein è morto il 18 aprile del 1955, 10 anni dopo Giorgio Latis. Einstein, genio dell’umanità, ebreo e pacifista, diceva che la conoscenza da sola non basta: occorre l’immaginazione.
È l’immaginazione che ci rende liberi.
Ed è stata proprio l’immaginazione a muovere Giorgio Latis e i suoi compagni: la capacità di vedere un mondo che ancora non esisteva, e il coraggio di lottare per renderlo possibile.
Si può immaginare anche senza conoscere. Si può credere anche quando si ha paura. Si può agire anche quando si è soli.
L’immaginazione è un elemento indispensabile per fare la Resistenza. Lo è stata allora. E lo è ancora oggi.
Perché per resistere davvero, bisogna immaginare un mondo diverso da quello che si ha davanti.
Nel 1943, nell’Italia occupata, tra delazioni, rastrellamenti, torture, deportazioni, era facile pensare che tutto fosse perduto, che il male avesse vinto.
E invece, ragazzi e ragazze giovanissimi — come Giorgio Latis — hanno scelto di non cedere alla realtà così com’era. Hanno immaginato la libertà quando la libertà era stata cancellata.Hanno immaginato la giustizia in mezzo all’orrore.
Hanno immaginato un’Italia democratica mentre vedevano amici, maestri e familiari deportati o uccisi.Questa immaginazione radicale, concreta, fondata sull’etica, è stata la prima scintilla della Resistenza.
Non si trattava solo di opporsi con le armi, ma di non accettare il mondo com’era, di credere che fosse ancora possibile cambiarlo.
La Resistenza non è nata perché tutti sapevano cosa fare, ma perché qualcuno ha osato immaginare che fosse giusto farlo. Allora, immaginiamo ancora.

Immaginiamo che le persone simbolicamente riammesse due anni fa siano anche riammesse all’esame di maturità. E che venga loro chiesto di svolgere il tema: “Una giornata indimenticabile”. Forse, Giorgio Latis scriverebbe così:
“In realtà, ci sono due giornate indimenticabili. La prima è il giorno in cui sono nato. I ricordi sono confusi, sbiaditi.
Grida, luce, qualcuno mi solleva. Una mano mi schiaffeggia: vogliono sentirmi piangere. Poi, il silenzio. E poco altro. La seconda giornata, invece, la ricordo perfettamente. È il giorno in cui sono rinato. È accaduto qui, due anni fa. C’erano studenti e studentesse, docenti, poliziotti, carabinieri, partigiani, autorità. Il prof. Pietro Pittini che mi ha cercato negli archivi, l’artista Fabrizio Dusi che ci ha regalato un pensiero illuminato e illuminante. C’erano i miei parenti, la comunità ebraica e anche il parroco, don Serafino. Dopo alcuni discorsi, la dirigente scolastica ha letto e firmato l’atto di riammissione alla scuola. Un gesto per restituirmi quel percorso che mi era stato negato. Applausi.  Musica. Un rinfresco. Felicità. Un atto semplice, ma che ci ha liberati dall’oblio. È stato un gesto di giustizia collettiva. E in quel momento, mi sono sentito rinascere. Quando sono nato, mia madre mi ha consegnato alla vita. Quando sono rinato, la scuola, la dirigente, e tutte le persone presenti mi hanno consegnato alla Storia.”

 

 

Il 27 aprile del 2023 si inaugurava la targa alla presenza di molte autorità…..

                                             

                     

Così scriveva Giuseppe D’Acquinio, Presidente dell’ANPI, sezione Curiel Milano

All’Istituto Nicola Moreschi di Milano, la memoria è una questione identitaria. Da anni le pareti della scuola in viale San Michele del Carso ospitano lapidi in ricordo dei caduti delle guerre del Novecento. Pochi giorni fa sono state scoperte altre quattro targhe commemorative dedicate all’ebreo e partigiano Giorgio Latis e agli altri studenti e docenti che, a causa delle leggi razziali, nel 1938 furono espulsi dalle loro aule. Il monumento, situato nel luminoso atrio al primo piano, “è stato concepito come un leggio con quattro targhe sovraesposte – racconta Carmela Tuè, dirigente dell’Istituto Nicola Moreschi – Dopo 85 anni i loro nomi rientrano a scuola, come simbolo di un riconoscimento tardivo del torto subito, perché il futuro è soprattutto memoria, critica e riparazione del passato”. A realizzare l’installazione è stata Giovanna Latis, pronipote di Giorgio Latis, presente durante la giornata commemorativa dello scorso 27 aprile. 
“È stata una cerimonia commovente, iniziata con la condanna all’unisono dei regimi totalitari del secolo scorso e terminata con una lettera di riammissione a scuola di queste vittime del nazifascismo, facendo appello all’articolo 3 della nostra Costituzione — aggiunge la preside – Il nuovo monumento, rispetto agli altri, si trova ad altezza umana e i nostri ragazzi potranno soffermarsi spesso a leggere quei nomi e familiarizzare con essi, creando un ponte tra passato e presente”. L’opera rievoca la struttura tipica delle pietre d’inciampo, che ogni anno vengono posate nelle strade di tutta Europa per ricordare i cittadini deportati nei lager nazisti: “Ho progettato una lunga mensola in ferro brunito che crea un piano inclinato, un leggio su cui sono posate le quattro iscrizioni commemorative realizzate con la tecnica dell’incisione laccata su lastra – spiega Giovanna Latis, ex alunna del Moreschi e architetta titolare dello ‘Gio Latis Studio’ di Milano – Ho voluto riportare un estratto del testo della legge razziale, i nomi degli espulsi, la storia di mio prozio e una sua frase poetica”. 
Tra i nomi ricordati, risalta quello di Giorgio Latis perché “è l’unico di cui si ha testimonianza da partigiano – raccontano dalla sezione Eugenio Curiel dell’Anpi, che è stata la culla di questo progetto – Nel 1943 aderì al Partito d’Azione, al Fronte della Gioventù e infine alle Brigate Partigiane, contribuendo con la sua morte nel 1945 alla liberazione dell’Italia dal nazifascismo”. Ed è stata una coincidenza ad aver riportato alla luce la sua storia: “L’anno scorso, durante la posa delle pietre d’inciampo in via Filippo Carcano, dedicate alla famiglia Latis, ci è stato fatto presente che mancava all’appello quella in memoria di Giorgio Latis – spiegano dall’Anpi – Da qui gli incontri con i discendenti, con i rappresentanti della scuola da cui l’ebreo era stato espulso, tra cui un ex docente dell’Istituto Moreschi, Pietro Pittini, autore del libro L’Istituto N. Moreschi. Pagine di storia”. Alla cerimonia commemorativa hanno partecipato anche il presidente del comitato provinciale di Milano dell’Anpi, Roberto Cenati, Daniela Dana dell’associazione ‘Figli della Shoah’, del Comune di Milano, Buscemi Elena, alcuni studenti, cittadini, rappresentanti delle forze armate e l’artista Fabrizio Dusi. Quest’ultimo, in particolare, ha contribuito a impreziosire l’evento attraverso la donazione di una scritta al neon, che illumina realmente e simbolicamente il piano terra della scuola milanese. Recita: “La memoria rende liberi”, rievocando le parole della senatrice Liliana Segre.  

Il 6 agosto 2023 Sonia Colombo, giornalista di BET MAGAZINE MOSAICO, pubblicava il seguente articolo

Giorgio Latis: una storia da riscoprire, una scuola da imitare

Personaggi e Storie

di Sonia Colombo
Ci sono iniziative, legate alla Memoria, che possono cambiare il corso della storia e ci sono vicende che possono ispirare le nuove generazioni. Una di queste è senza dubbio quella dell’istituto Moreschi di Milano, che ha inaugurato una lapide alla memoria dell’ebreo partigiano Giorgio Latis e ha riammesso pubblicamente studenti, docenti e preside, espulsi nel ’38.

Giuseppe d’Acquino, presidente della sezione Anpi E.Curiel, racconta com’è nata l’iniziativa di creare una lapide in onore di Giorgio Latis. «È nata da un incontro. Incontro è una parola che mi piace.»  Infatti, durante la posa delle pietre d’inciampo in via Filippo Carcano, dedicate alla famiglia Latis, ha incontrato il pronipote, omonimo del protagonista della nostra storia. Giorgio ha detto a D’Acquino che mancava un nome alla commemorazione. Quest’ultimo ha poi incontrato il dirigente scolastico dell’istituto Moreschi, Carmela Tué, e insieme hanno dato vita dapprima ad una rappresentazione narrativa su Giorgio Latis durante il Giorno della Memoria e poi all’evento del 27 aprile.

È la prima volta che degli studenti ebrei vengono riammessi in una scuola, seppur simbolicamente. L’istituto Moreschi si erge dunque a luogo della memoria e potrebbe diventare un modello di ispirazione per tutte quelle scuole che desiderino donare ai ragazzi una lezione di educazione civica, dove si integrino perfettamente memoria e speranza.

Bet Magazine-Mosaico ha voluto dare voce a Daniela Dana, al pronipote di Giorgio Latis e a Carmela Tué che, insieme a Giuseppe d’Acquino, all’architetto Giovanna Latis, che ha progettato la lapide di Giorgio Latis e a Roberto Cenati, presidente Anpi provinciale di Milano, hanno dato vita ad un’iniziativa nuova, toccante e fonte d’ispirazione per gli studenti.

La storia di Giorgio Latis

Giorgio Latis nasce nel 1920 a Modena, ma nel ’32 si trasferisce insieme alla famiglia a Milano, in via Verga 15, a pochi metri dall’istituto Moreschi. È uno studente intelligente, colto, ma anche ribelle, infatti ha sempre 8 in condotta. Ama la letteratura e le arti e diventa presto amico di eccellenze dell’ambito culturale milanese, quali Giorgio Strehler, Vittorio Sereni e Franca Valeri.

Nel 1938, a causa delle leggi razziali, viene espulso dall’istituto Moreschi, insieme ad altri 9 compagni, a due docenti e allo stesso dirigente scolastico ed è costretto a continuare gli studi da privatista. Riesce comunque a diplomarsi nel giugno del 1939. Terminati gli studi, ovviando alle leggi contro gli ebrei, va a lavorare presso una ditta di impianti elettrici e, nel tempo libero, si dedica alle sue passioni: insieme ai cugini e alla sorella allestisce un teatro di marionette ( i cui bozzetti sono conservati dal pronipote Giorgio Latis e alcune copie si trovano nella casa di un’amica della sorella)  e rappresenta nei salotti milanesi testi di Dickens, Lorca, Cocteau. Come scopriremo più avanti, le sue doti d’improvvisazione teatrale e il suo ingegno artistico contribuiranno alla salvezza dello stesso Giorgio e di molte altre persone.

Com’è ormai noto, dopo l’8 settembre la situazione per gli ebrei diventa insostenibile: così nel novembre del  ’43, Giorgio accompagna i genitori e la sorella in Svizzera, pensando di salvarli dai nazifascisti. In realtà gli stessi sono stati poi catturati, rinchiusi a San Vittore e in seguito deportati, nello stesso convoglio di Liliana Segre, per poi essere uccisi ad Auschwitz. Giorgio, credendo di aver salvato i familiari, non rimane in Svizzera, come forse avrebbero fatto molte altre persone, ma si arruola nella resistenza e aderisce al movimento Fronte della Gioventù, diretto da Eugenio Curiel, con il nome di battaglia Biondino, poi modificato in Albertino. In seguito ad un arresto, viene condotto a San Vittore e qui comincia a utilizzare le sue doti d’improvvisazione teatrale per fuggire dal carcere. Infatti, approfitta di un momento di confusione durante lo sgombero delle macerie, per fuggire insieme ad altri detenuti, facendo credere a tutti che stesse per scoppiare una bomba. Evaso dalla prigione, si sposta in Piemonte, aderendo al Partito d’azione; qui dà il meglio di sé, organizzando sabotaggi, trasporti di armi ed evasioni di detenuti, assumendo di volta in volta varie identità. Assume così un ruolo di notevole importanza nell’ ufficio Kappa, che assiste i detenuti politici.

Grazie al nuovo incarico, Giorgio entra ed esce dalle Nuove, le carceri di Torino, e realizza scambi di prigionieri. In un’occasione particolare si traveste da ufficiale repubblichino e riesce a far evadere un partigiano dal carcere di Vercelli e due compagni dal carcere di Alessandria, che sarebbero stati altrimenti fucilati il giorno dopo. In diverse lettere, giunte molti anni dopo al pronipote, alcuni compagni di lotta ricordano le sue imprese e la salvezza ottenuta, grazie alle sue azioni d’indubbio ingegno. Giorgio ha infatti combattuto, tra gli altri, con Galante Garrone, Edgardo Sogno e Ada Gobetti, che lo ha citato nel suo Diario partigiano.

Un giorno dopo la liberazione, il 26 aprile 1945, durante le insurrezioni a Torino, Latis si offre volontario per avvertire la Resistenza, che milita sulle colline, di entrare in città. Questa volta si traveste da medico; passa inosservato il posto di blocco di Reaglie, ma al suo ritorno incontra altri soldati repubblichini. Quest’ultimi lo perquisiscono e trovano dei documenti compromettenti, così Giorgio viene immediatamente fucilato. La medaglia d’argento alla memoria gli viene conferita solo nel 1996, a causa di un errore burocratico.

La storia di Latis raccontata da Giorgio, il suo pronipote

Bet Magazine-Mosaico, per approfondire l’avvincente storia appena narrata, ha incontrato il pronipote di Latis, che porta in suo onore lo stesso nome. Lui definisce la vicenda del prozio come «Sacrale e mitica» , primo perchè lui era molto legato a suo padre e ai suoi fratelli, secondo perchè ha fatto delle azioni eroiche prime di morire e a lui hanno dato il suo nome, in quanto è stato il primo maschio della famiglia nato dopo la scomparsa dell’eroe Latis.

È tra l’altro curioso che la storia dei Latis si incroci con quella dei Mortara, infatti la sorella più piccola di Edgardo, Imelde ha sposato Vito Latis e hanno avuto due figli: Leone e Giuseppe. Il primo è il padre di Giorgio Latis e di sua sorella Liliana, mentre il secondo, Giuseppe, ha sposato Giannetta Modena e hanno avuto 5 figli, tra cui Gustavo, padre del pronipote di Giorgio Latis. Quindi il protagonista della nostra storia e Gustavo, padre dell’intervistato, erano cugini e sono nati tutti e due nel 1920, mentre Edgardo Mortara era il loro prozio. Riguardo alla storia della sua famiglia, Giorgio racconta che «La particolarità è che la famiglia di Leone è stata completamente sterminata e Giorgio Latis, come sappiamo, fucilato, mente la famiglia di Giuseppe si è completamente salvata, scappando in Svizzera.» Facendo delle ricerche, il pronipote di Latis ha anche scoperto che non sono stati deportati neanche i compagni di classe di Giorgio, né i professori.

Proseguendo il racconto, il pronipote aggiunge che, come in molte famiglie ebraiche, non si è parlato della guerra fino agli anni ’80, poi, negli anni ’90, lui ha iniziato ad intervistare sia i suoi parenti che molti partigiani, tra cui, a Torino, alcuni che avevano collaborato con Latis e che sono stati liberati da lui; ha trascritto tutto in modo che tali racconti, così appassionati, non andassero persi e, come dice lui « Ho salvato il salvabile». Ha aggiunto inoltre che « A casa nostra c’è stata un po’ di rimozione, perchè il tutto è stato molto traumatizzante: sia mio padre che suo fratello sono stati espulsi da scuola, hanno dovuto fare la maturità privatamente, non potevano lavorare, poi mio padre, dopo la guerra, ha dovuto rimboccarsi le maniche e laurearsi il più in fretta possibile e le notizie dei parenti non arrivavano. Tutte queste informazioni sono arrivate a noi un po’ per volta.» Ha aggiunto poi che la medaglia d’argento all’eroe Giorgio Latis è stata conferita più tardi perchè, nonostante lui e il padre l’avessero già richiesta tra gli anni ’60 e ’70, una discrepanza sulla data della morte e altri dettagli, sono stati la causa di un ritardo nell’assegnazione della stessa, che gli è stata conferita solo nel 1996. Nel 2022, in Via Filippo Carcano, a Milano sono state depositate le pietre d’inciampo in onore dei genitori e della sorella di Latis e, probabilmente nel 2025, in occasione dell’ottantesimo dalla liberazione, Latis avrà anche una sua lapide, sempre nel palazzo di Via Carcano a Milano. La lapide, all’interno dell’istituto Moreschi, al momento, non è a disposizione di tutta la cittadinanza. A Torino, in corso Chieri, dove Latis è stato fucilato, esiste invece già da tempo un monumento in suo onore.

Riguardo all’iniziativa dell’istituto Moreschi, l’intervistato ha aggiunto «Mio padre è stato intervistato anche al Parini e hanno fatto delle ricerche sui Latis, ma la riammissione simbolica di studenti e professori ebrei al Moreschi, che io sappia, è unica. È stata un’idea della preside» Tra l’altro la professoressa Tué è dirigente scolastico della scuola da solo un anno.

La storica e lodevole iniziativa del Moreschi, tra memoria e speranza

La targa posta all’Istituto Moreschi in memoria di Giorgio Latis

Altre scuole come il Berchet, il Parini e il Manzoni, tra le altre, hanno aperto gli archivi per ritrovare delle documentazioni a proposito degli studenti e dei docenti espulsi a causa delle leggi razziali, ma il Moreschi è il primo istituto a riammetterli simbolicamente. A questo proposito, Giuseppe d’Acquino racconta com’è nata l’iniziativa: lui e il dirigente scolastico, Carmela Tué, hanno consultato le lettere di esclusione dalla scuola, causa leggi razziali, che l’allora preside della scuola: Arturo Loria, anch’egli ebreo, aveva mandato ai docenti. A proposito di quest’ultimo, il licenziamento e le difficoltà incontrate per ottenere la pensione, lo hanno portato ad una morte prematura nel dicembre del 1939, a soli sessantadue anni. Prima di questo evento tragico egli ha però contribuito, insieme ai docenti Elsa della Pergola ed Eugenio Levi  (i due docenti espulsi dal Moreschi)  alla rapida costituzione della scuola ebraica di via Eupili, dove molti studenti ebrei hanno potuto diplomarsi nel settembre del ’43, quando i tedeschi stavano già occupando Milano.

Riguardo all’esclusione di Latis e degli altri 9 studenti non c’è traccia; si nota solo che nel registro dell’anno prima erano iscritti e poi l’anno successivo non più. Le lettere di esclusione dei docenti, insieme ai registri con i nomi degli studenti mancanti, sono stati determinanti per D’Acquino e per la preside, tanto da portarli alla decisione di riammetterli, seppur simbolicamente. Racconta D’Acquino: «Non si è trattato quindi di una rievocazione, ma proprio di una riammissione, simbolicamente molto forte anche perché si è svolta nello stesso istituto scolastico, al cospetto di circa 100 persone: studenti, genitori, partigiani, forze dell’ordine, il prete del quartiere, rappresentanti del carcere San Vittore e molte altre autorità ancora«

“Anche la scenografia  è stata molto importante – continua il dirigente Tuè – perché la memoria e la speranza hanno accompagnato i vari interventi, sapientemente diretti da D’Acquino: l’intervento del  prof Pittini con la storia del Moreschi ha condotto i presenti  nel passato, la riammissione degli espulsi ed il canto di due studentesse del Moreschi, tratto da The Partisan di Leonard Cohen, ha chiuso l’evento in segno di speranza, commuovendo tutti.» Il dirigente  scolastico racconta inoltre che l’evento è stato preceduto da un racconto scenico sulla vita di Giorgio Latis, realizzato dai ragazzi, con l’aiuto dell’associazione Anpi, e tenutosi in occasione del Giorno della Memoria, il 27 gennaio.

 

 

 

decreto di riammissione_22-23

TESTO LIBRO PITTINI